26 May 2008
Lei lengas "regionalas" dins la constitucion francesa: una primiera victòria
Pasmens, s'acaba pas lo combat per lo respècte de l'occitan e dei lengas minorizadas en generau:
1/ l'emendament es pas definitiu perque lei reformas constitucionalas son pas encara acceptadas per lo congrès dei deputats e senators francés;
2/ se modifica pas l'article 2 de la constitucion que ditz que «lo francés es la lenga de la republica», e qu'establís donc una superioritat juridica dau francés subre lei lengas dei minoritats nacionalas;
3/ lo tèrme de «lengas regionalas», sensa realitat scientifica, implica la subordenacion de nòstrei lengas au francés, sola «lenga nacionala», e es inexacte, que l'occitan es pas la lenga d'una region especifica mai d'una nacion;
4/ l'article primier de la constitucion francesa contunha de definir França coma «una republica indivisibla», çò qu'empacha la reconeissença dei minoritats nacionalas e donc dau pòble occitan e permet pas de far evoluir l'estat francés vèrs lo federalisme. A Iniciativa per Occitània pensam que sola una Comunautat Autonòma d'Occitània poiriá garentir lei drechs de nòstra lenga e de nòstra cultura.
Se, coma o desiram, s'oficializa definitivament l'emendament, exigirem de l'estat francés la mesa en plaça d'una politica concreta d'aparament e de promocion de l'occitan, tant dins l'ensenhament coma dins lei mèdias e la societat, perque la situacion de nòstra lenga es tan grèva que nos podèm pas acontentar de bèlei paraulas. Per aiçò, exigissèm tanben la ratificacion de la Carta europèa dei lengas minorizadas, un estatut legau de lenga oficiala per l'occitan, e trabalharem amb totei leis occitans e occitanas que o vòlon per que nòstra lenga conquiste totei lei foncions de comunicacion de la societat. L'occitan es viu e se pòt pas reduire a un patrimòni de musèu.
FREE OCCITÀNIA!
Lo 22 de mai de 2008,
Iniciativa per Occitània
nel deserto dell'italica nefandezza, una voce savia
La nostra vera malattia
Un conoscente della mia famiglia, collega d'ufficio di mio padre, aveva la mania dei raffreddori; stava attento ai giri d'aria e prendeva tutte le precauzioni contro infreddature e bronchiti, convinto che le malattie potessero colpirlo solo da quella parte. Morì di un cancro all'intestino ovvero, come si diceva allora, di un «brutto male». Quel signore faceva benissimo a non trascurare le eventuali minacce alla faringe o ai bronchi, spesso fastidiose e talora perniciose, ma sbagliava a sottovalutare pericoli più gravi. Anche il corpo sociale ha le sue malattie, scatenate o in agguato. La sua salute dipende da come fronteggia, previene, combatte i morbi che lo insidiano; dalla sua capacità di reprimere—tramite le autorità preposte a tale funzione — i reati nella misura stabilita dalla legge, senza indulgenze buoniste o pseudo- umanitarie e senza isterie demagogiche né pregiudizi verso alcuna categoria di persone. In uno Stato liberale e democratico non si sospettano a priori e tantomeno si vessano né i kulaki ossia i contadini proprietari, come un tempo nell'Unione Sovietica, né gli ebrei, i neri, gli immigrati, come tante volte in tanti Stati del mondo. Oggi sono gli zingari ad occupare i titoli cubitali dei giornali, con i reati compiuti da alcuni di loro e altri loro attribuiti, e con i violenti soprusi patiti da alcuni di essi. In entrambi i casi, lo Stato—e solo lo Stato, che ha il monopolio dell'uso della forza — ha da individuare e perseguire gli autori di atti delittuosi, il delinquente che ruba e molesta come il delinquente che getta bombe Molotov, contro la polizia negli anni Settanta o contro i rom oggi. Il nostro codice o meglio la nostra civiltà consentono di punire soltanto individui — rei di delitti accertati, la cui responsabilità è sempre personale — e mai gruppi o comunità, poco importa se etniche, sociali, politiche o religiose. Attentare a questo principio — prendersela con gli zingari, gli ebrei o i padani anziché con un concreto colpevole colto con le mani nel sacco, sia egli nato a Timbuctù o ad Abbiategrasso — mina alla radice l'universalità umana e in particolare la nostra civiltà, l'Occidente. Chi nega questo fondamento dell'umanità e del diritto è il vero barbaro e non ci interessa donde arrivi, dall'orto dietro casa nostra o da lontani deserti. Zingari, norvegesi, triestini o senegalesi sorpresi a delinquere vanno puniti senza riguardo alla loro diversità o povertà. Tifosi bestiali che in nome di una squadra di calcio commettono violenze contro persone o cose — provocando spesso rovinosi danni a onesti esercenti, di cui sfasciano i negozi in una ebbrezza di subumana e delittuosa ebetudine — vanno puniti con tutta la durezza consentita dalla legge e costretti a pagare sino all'ultimo spicciolo i danni arrecati, senza riguardo a chissà quali disagi esistenziali sottostanti alle loro brutalità.
Improvvisati e autonominatisi giustizieri che si dedicano a spedizioni criminose vanno puniti con esemplare severità, perché rappresentano un virus socialmente e moralmente ancor più nocivo dei ladruncoli veri o presunti che si vogliono castigare: il Ku-Klux-Klan, nato si dice alla fine della guerra di Secessione per proteggere i bianchi del Sud americano dalle violenze cui si abbandonavano alcune bande di schiavi appena liberati, è divenuto ben presto la più orrida criminalità. Uno stupratore romeno va punito per il suo ributtante reato, ma non può gettare il discredito indiscriminato sui suoi connazionali, così come i recenti assassini di Verona non possono autorizzare squadracce sguinzagliate alla caccia dei veronesi. L'attuale ministro dell'Interno, che promette pugno duro, sa bene che i pugni distribuiti con disinvoltura talvolta arrivano in testa pure ai galantuomini, perché anni fa, quando non era più e non era ancora di nuovo ministro dell'Interno, alcuni sbrigativi poliziotti gliene hanno dati pure a lui. La cosiddetta piccola criminalità non è un raffreddore, bensì una piaga sociale; gli scippatori di anziani che hanno appena ritirato la pensione mettono intere famiglie in difficoltà di arrivare alla fine del mese. La sicurezza è un bene primario; la sua necessaria e ferma tutela non è certo espressione di biechi sentimenti filistei o di astiosi pregiudizi nei confronti di immigrati ed emarginati, come troppe volte si è detto con sufficienza. Ogni problema umano e sociale non risolto comporta un tasso di devianza e di illegalità, già solo per il fatto che le leggi esistenti non riescono a risolverlo. È la globalizzazione che produce spostamenti crescenti di masse di diseredati nei Paesi più ricchi, con tutte le conseguenze che ne derivano. La globalizzazione nasce dal crollo del comunismo e dalle nuove forme assunte dal capitalismo; non sembra augurabile né possibile restaurare il primo e bloccare lo sviluppo del secondo e d'altronde non si può avere botte piena e moglie ubriaca, come dice il proverbio. L'universalità e le difficoltà di questo fenomeno planetario ci aiutano, ci costringono a toccar con mano l'interdipendenza di tutti gli uomini, l'essenziale unità del genere umano, diversificato ma organicamente unitario come un grande albero con le sue radici, rami e foglie; ci fa sentire fisicamente che ognuno di noi, come dice la Bibbia degli ebrei, è stato straniero in terra d'Egitto e può ancora diventarlo, nel domani sempre più incerto e sempre più globale, e dunque che gli stranieri sono i compagni del nostro destino. Giustamente si ricorda l'emigrazione italiana, la dura e ammirevole odissea dei nostri emigranti, stranieri spesso osteggiati nei Paesi allora più ricchi ed ostili. Ma appunto perciò occorre sapere quanto sia difficile, per tutti, essere stranieri. La retorica della diversità elude sentimentalmente il problema.
Tutti — persone, culture — siamo diversi e proprio perciò è vacuo ripetere come pappagalli questa parola. Inoltre la diversità, la particolarità non è ancora di per sé un valore; è un dato, un'identità (nazionale, politica, culturale, religiosa, sessuale) sulla cui base si possono costruire dei valori, che tuttavia sempre la trascendono, perché essere italiani, africani, buddhisti, omosessuali non è un merito né un demerito, non è cosa di cui avere orgoglio né vergogna; è un dato di fatto che va rispettato e tutelato contro chi non lo rispetta. Certamente ogni diversità arricchisce, perché si cresce uscendo da se stessi e incontrando gli altri; ogni endogamia è asfittica e regressiva, non solo quella sessuale. Ma la diversità diventa una retorica truffaldina quando viene invocata per eludere la consapevolezza dei conflitti reali che talora possono sorgere dal contatto fra culture diverse — ad esempio tra una fondata sull'uguaglianza dei diritti tra uomo e donna e una che la nega. Pure tali possibili conflitti vanno affrontati con equilibrio responsabile — e non già esacerbati col pathos spettacolare dello scontro di civiltà, che seduce con la sua visione della Storia al technicolor — ma non vanno elusi né sottovalutati. La teppa scatenata contro i campi nomadi e il clamore mediatico che le fa da grancassa rimuovono la consapevolezza di problemi ben più ardui dell'emergenza rom. Le dimensioni numeriche dell'immigrazione potrebbero in futuro aumentare sino a renderla materialmente impossibile, perché, per fare un esempio oggi assurdo, non è fisicamente possibile accogliere milioni di poveri. Si potrebbero creare, con la necessità e l'impossibilità di accoglienza, situazioni oggettivamente tragiche, in cui — come appunto nella tragedia — è comunque impossibile agire senza colpa. Anche per questo il problema non può essere affrontato con criteri diversi nei singoli Stati, ma può essere gestito solo globalmente dall'Europa, perché non è un problema italiano o spagnolo bensì europeo, se non occidentale in generale. È difficile dire se il nuovo capitalismo, che ha innescato questo meccanismo con la globalizzazione, saprà governarlo o ne sarà travolto come un apprendista stregone. È un problema ben presente nel libro di Giulio Tremonti Paura e speranza.
I rom e altri immigrati sembrano oggi la minaccia maggiore alla nostra sicurezza. «Cieca bugia, distrazione di massa dalla realtà complessiva », ha scritto Mariapia Bonanate sul Nostro Tempo. Credo che i commercianti e gli industriali taglieggiati dalla camorra o dalla mafia scambierebbero volentieri il danno, l'intimidazione — non di rado la morte — che sono costretti a subire con i fastidi di chi abita non lontano da un campo di nomadi. Come ha scritto Riccardo Chiaberge su Il Sole 24 Ore, non si sono viste squadre di cittadini indignati scagliarsi contro quartieri della camorra e non ho sentito parlare di ronde pronte a proteggere gli esercenti dai malavitosi che vengono a riscuotere il pizzo. Certo, è più rischioso affrontare i guappi che i vu cumprà e qualcuno ci rimetterebbe la pelle, ma ciò non dovrebbe scoraggiare chi vanta i propri attributi virili e trecentomila fucili. La mafia e oggi ancor più la camorra — grazie al possente libro di Roberto Saviano — sono certo intensamente presenti all'opinione pubblica: libri, film, articoli, servizi televisivi, dibattiti. Ma non scuotono veramente l'opinione pubblica; non destano — diversamente dagli extracomunitari — alcun furore, alcuna paura nei cittadini. Sono quasi letteratura, una tragedia esorcizzata dalla sua rappresentazione, dopo la quale si va tranquillamente a casa — tranne chi è minacciato o colpito dalla morte. Come quel mio conoscente, siamo più vigili dinanzi a una tosse fastidiosa che ad un cancro. Il cancro si avverte meno, forse perché ha già occupato gran parte del corpo, si è infiltrato negli organi e nei sensi che sta distruggendo, sicché, almeno sino ad un certo momento del suo lavorìo, è difficile percepirlo, così come non si vede il proprio sguardo. Un impero del crimine i cui profitti sono quelli di una potenza economica mondiale e le cui vittime sono numerose come quelle di una guerra è un cancro infiltrante, che si immedesima con una parte sempre più grande della realtà. È giusto, è doveroso curare severamente scippi, furti, aggressioni, molestie, ogni illegalità anche piccola, ma sapendo quale sia la nostra vera malattia mortale.
Claudio Magris06 May 2008
La clau del bodisme
Lama Sonam: "La felicitat està en la via espiritual"
El setembre del 2007, a Barcelona, el Dalai Lama respon rient a un periodista : "God is not my business!". N’hem volgut saber més. A Montpeller, al Centre Budista tibetà, hem trobat Lama Sonam Tshering.
La Clau : Mentre que a Europa consum i materialisme són valors poderosos, què explica l'entusiasme i l'èxit del budisme ?
Lama Seunam : "El materialisme és present al món sencer. Comprendre què és el materialisme i comprendre la via espiritual són dues coses completament diferents. El Buda Dharma, és per a nosaltres una ajuda per tal de conèixer-nos a nosaltres mateixos. Hom cerca la felicitat, que no es troba en el materialisme ans es troba en el fonament de l'esperit. De quina manera hom ho comprèn, de quina manera hom el cerca, són informacions que s'obtenen gràcies als ensenyaments del Buda. És això el budisme : trobar vertaderament com sem, la naturalesa del nostre esperit, per mor de trobar la pau, la claredat i la felicitat. Aquesta riquesa sols es troba en la via espiritual".
I doncs, en les religions occidentals, cristiana, jueva, islàmica, Déu es considera un ésser superior, inaccessible. I Buda ?
"Depèn de la manera que té la gent d'observar i de comprendre les coses. Entre els budistes, alguns consideren Buda com un déu. Però quan hom és de veres en la via espiritual budista, Buda és un mestre, una ajuda per explicar-nos com ell ha atès el desvetllament. En tot ésser hi ha una llavor de budaitat, l'important és la manera d'utilitzar-la i de fer-la funcionar. Depèn de nosaltres. En el budisme no creiem en quelcom de superior. Buda deia, "ensenyava el camí, vaig veure la manera de trobar la via de l'alliberament, us l’he presentada, ara cada u de vosaltres pot llestar d’estudiar i mirar de comprendre". Deixa una llibertat total. Per a la resta, no tinc cap jutjament sobre les diferents vies.
Com s’esdevé budista ? Quin és el camí ?
"(Riu)... Aquesta qüestió és molt comuna a Europa puix que us agrada força de fer dreceres. Fonamentalment, no hi ha una manera fer-se budista. Tot primer és qualcú que cerca a saber qui és en el món on viu. Què fa que viu en aquest planeta. Quin és el sentit de sa vida i de la seua mort. Llavors es tracta de comprendre què expliquen els ensenyaments de Buda. Cadascú tria el seu camí amb les seues preferències íntimes. Dir sóc budista per tal com practiqui el budisme, és deixar parlar el seu ego. Fonamentalment, no hi ha regles".
A les acaballes de setembre del 2007 vam veure monjos budistes afrontar la junta militar a Birmània. No hi ha contradicció amb els valors de no-violència del budisme ?
"Personalment sóc trist de veure aquesta mena de coses, però els monjos Theravada no poden ni practicar lliurement ni ensenyar la seua espiritualitat. Han manifestat a favor de la seua llibertat. Aquests actes són oposats a la via budista però ningú no sap realment el fons del problema. És tan opac com un problema de família. És també la manifestació de l'aspecte humà de l'esperit, d'on la importància de practicar sempre".
Entre Budisme i Ciència, no hi ha l'oposició que podem comprovar entre Cristianisme i Ciència. Per què ?
"Els ensenyaments de Buda tenen 2500 anys. Les noves tecnologies, els nous mètodes d'investigacions són extraordinaris i certes coses, ja explicades en l'ensenyament de Buda, d'ara endavant les coneixen els Homes gràcies a la ciència. Cal alegrar-se'n ! De fet, el que els científics qualifiquen de progrés i de grans descobriments lògics són fenòmens que poen llur origen molt lluny en el temps. La ciència bomés els donarà un nom, un títol. Però no sóc pas segur que tinguem el mateix objectiu... (Riu)".
França e los ipermercats...
LIDL, ED, ALDI, el cinisme comercial
El hard discount no s'estalvia ningú i és arreu. Com un signe dels temps o de la bogeria de la gent està poblant les ciutats i des d'ara també el camp, com a Catalunya nord, on els 423.000 habitants disposen de 18 supermercats LIDL!
El cistell de compres de la mestressa de casa francesa costa entre el 10 i el 30% més que a Espanya o Alemanya. La inflació creix a vista de nas i el preu del sacrosant petroli no deixa de pujar. El poder adquisitiu és dels més baixos. La crisi en la crisi ens envolta, amb una cantarella evident, però el mal s'ha fet violent i els remeis són de mal trobar. Com sempre en situacions semblants hi ha els qui pateixen i els qui treuen profit del sofriment dels altres. L'esperit de l'home és fecund sobretot quan es tracta de trobar mitjans rendibles per guanyar diners a costa d'aquells que en manquen cruelment.
Enciams tristos i subiogurtsEn moltes zones rurals el comerç de proximitat gairebé ha desaparegut. Tanmateix els productes que s'hi compraven eren sovint de bona qualitat. Les produccions locals hi trobaven llur espai i els preus permetien que tota una cadena visqués decentment. En una tendència establerta des de la fi del decenni 1980, mentre que els centres dels pobles es moren, les rodalies veuen sortir de terra noves superfícies comercials. Són llocs mal endreçats on es barregen tots tipus de coses. Hi ha nous productes mal presentats, procedents del mateix productor, que resulta ser un desconegut total. És segur que s'hi troba una secció de llegums frescos, com en qualsevol altre lloc, però, en lloc de tranquil·litzar-nos, ens inquieta. Els llegums són minúsculs, atapeïts sota una xarxal en una barqueta de plàstic. Les patates fan mala cara i els enciams són tristos. Efectivament trobem la secció de productes làctics, però es limita a proposar formatges insípids i iogurts grassos, amb les aromes artificials. Tasteu els bescuits, les pastes, les conserves, i tota una gamma de productes anunciada com a bé de preu: llur qualitat és ben sovint discutible. Són suposadament destinats als qui no tenen mitjans per anar a un altre lloc, els que disposen d'ingressos que no autoritzen gaire cosa i que han adoptat la no-opció de sacrificar llur alimentació. En benefici de què? Sovint, de res, perquè alimentar-se ha tornat a ser per a molts el sol i únic objectiu. I els nous comerciants se n'aprofiten.
La dietètica dels salaris
A Catalunya nord es comptabilitza 18 supermercats. Fins i tot n'hi ha un a la comarca de Cerdanya en un coll de muntanya quitllat a 1800 m enmig d'enlloc. Per què allà? Per què ja 18? Per totes les raons esmendates però també perquè els nous comerciants prometen llocs de treball. La conseqüència és fàcil d'imaginar ja que els càrrecs electes no poden rebutjar una proposta d'aquest tipus en un període d'atur permanent, però, vist de prop, el quadre és tot sovint molt negre ja que aqueixes superfícies contracten poc: amb una plantilla de 5 persones n'hi ha prou per fer funcionar tot el súper. Estar-se a caixa, oprdenar les seccions, descarregar mercaderia, netejar el sòl... ho cal fercal fer tot si es vol treballar-hi de manera durable, encadenar tasques com a Mc Donald's, utilitzant cada instant de temps lliure. Cal sofrir mètodes de management innobles predicats per una direcció fanàtica, per uns salaris de misèria. A LIDL ja no es compten els acomiadaments abusius, els processos per motius d'assetjament moral al lloc de treball, i falses acusacions. A més, per a un assalariat que es revolta i denuncia públicament el sistema interna, sobre el model de l'assumpte Fatiha Hiraki, cap de botiga a Clichy-sur-Seine (regió parisenca) feta fora l'octubre de 2006, són centenars que s'agafen amb penes a llur emplego, sense dir res, perquè no tenen més opcions. Amb un cinisme extrem la publicitat ha aconseguit col·locar els béns d'equipament a dalt de la llista de les necessitats de les famílies, i aquestes degusten pastes infames davant un plasma HDMI amb TDT integrada, connectat a l'última consola de joc. Els nous comerciants ho han entès com cal. Haurà d'eixamplar els seus aparcaments.