Stop del Giappone alle mozzarelle
Dopo la Corea del Sud anche Tokyo blocca i latticini prodotti in Campania. La Ue all'Italia: spiegazioni entro giovedì
Francesca Pilla
Napoli
«Ma che tipo di ricotta hai messo nella pastiera?». «Quella confezionata, ovvio, i nostri latticini non li compro più. Anzi ti dirò non mangio niente, né frutta né verdura del casertano». «Ma non risolvi, con la grande distribuzione i prodotti vengono comprati lì mandati al nord per essere confezionati e rispediti nei nostri supermercati». «Io mi fido del mio palato. Ieri ho mangiato delle carote che facevano schifo, ho guardato la provenienza erano state coltivate ad Acerra».
Gesticolano sguaiatamente e animano la loro conversazione sui pranzi post-pasquali, due donne con figli nel carrello, tra i reparti di un supermercato al centro di Napoli. Uno dei centinaia di dialoghi tutti uguali tra gli scaffali stracolmi della mozzarella invenduta, e i ripiani vuoti delle carni. Nel 2001 era il contrario, erano i tempi della mucca pazza, all'epoca nessuno comprava la carne rossa. Sul lastrico finirono i bovari inglesi e a ruota gli italiani con i ristoratori della Toscana. I latticini invece andavano fortissimo. Poi nel 2003 arrivò l'Aviaria a flagellare gli allevatori di ovini in tutto il mondo e la lancetta dei consumi di rossa decollò. Oggi ad alimentare una nuova psicosi è la mozzarella alla diossina. Sarà la «terza piaga» destinata ai pizzaioli globali? Si potrebbe dire che il libero mercato si autoregola e avrebbe ragione Adam Smith, ma non è così. Sono i piccoli produttori a rimetterci, chiudono i battenti e non li riaprono. E come a vendicarsi delle accuse all'Asia sui polli malati, il primo stato a mettere l'embargo alla mozzarella campana è stata la Corea del Sud. Seul ne ha vietato il consumo ai coreani che ne vanno matti, compromettendo un commercio di circa 10 tonnellate l'anno. Ma Tokio? Ha seguito o meno i coreani, mettendo a rischio l'export di altri 329mila kg di mozzarelle, pari a un valore di 2,3 milioni di euro?
Nel pomeriggio si diffonde la notizia: il Giappone ha chiuso le frontiere già da venerdì. Partono le telefonate "diplomatiche", sono interpellati gli ambasciatori. La sinistra arcobaleno sottolinea: «Allarme eccessivo, ma bisogna partire subito con la bonifica dei territori». Il Pd di Bassolino tace. A sera il consorzio di tutela della mozzarella dop. ratifica: «In Giappone ci sono solo maggiori controlli su tutti i latticini italiani». Esulta l'assessore regionale Andrea Cozzolino: «E' una bufala». Riprende la parola quello della sanità Angelo Montemarano: «Siamo gli unici ad avere istituito un Osservatorio per la sicurezza alimentare». Ma i commercianti casertani, 1900 allevamenti e 25mila addetti, non si sentono per nulla sollevati: dopo l'effetto-rifiuti che ha tagliato le gambe ad albergatori e tour operator, potrebbero essere i prossimi. Il consumo è già calato del 35% e a rimetterci le "bufale" potrebbero essere anche la Puglia e il basso Lazio.
La Cia, la Confindustria degli agricoltori, tenta di sdrammatizzare: «Bene ai controlli, ma senza caricarli di enfasi». Troppo tardi lo scandalo ha già fatto il giro del mondo: New York Times, The indipendent, The Herald Tribune.
Ma quanto c'è di vero in questo allarme? L'inchiesta della procura di Napoli che ha fatto scattare i controlli del Noe e dei Nas ha messo sottosopra oltre 200 aziende. Di queste sono già state esaminate 80 e solo in due casi si è accertato lo sforamento minimo dei livelli di diossina: tra i 6,2 e i 6,8 picogrammi contro i 6 consentiti dalla legge. Dall'Ue non si sbilanciano: «Per ora non abbiamo prove» si è limitata a commentare la portavoce del commissario Ue all'ambiente, Stavros Dimas, ma poi Bruxelles ha chiesto i risultati delle analisi entro due giorni.
In realtà se diossina ci fosse nel latte delle bufale, questa non sarebbe stata prodotta negli ultimi mesi con l'emergenza rifiuti. In questo gli esperti concordano, la diossina si produce solo con le combustioni, ma le quantità che penetrano nel terreno, entrano in circolo nelle falde acquifere e ritornano nell'erba mangiata dalle bufale non potrebbero essere state provocate dai roghi della disperazione. Piuttosto si tratta di un territorio, quello casertano, devastato dai traffici illeciti, come possono essere i falò per estrarre il rame o per far sparire rifiuti pericolosi. E in ogni caso si tratterebbe di un inquinamento di lungo periodo e già ampiamente esportato.
Gesticolano sguaiatamente e animano la loro conversazione sui pranzi post-pasquali, due donne con figli nel carrello, tra i reparti di un supermercato al centro di Napoli. Uno dei centinaia di dialoghi tutti uguali tra gli scaffali stracolmi della mozzarella invenduta, e i ripiani vuoti delle carni. Nel 2001 era il contrario, erano i tempi della mucca pazza, all'epoca nessuno comprava la carne rossa. Sul lastrico finirono i bovari inglesi e a ruota gli italiani con i ristoratori della Toscana. I latticini invece andavano fortissimo. Poi nel 2003 arrivò l'Aviaria a flagellare gli allevatori di ovini in tutto il mondo e la lancetta dei consumi di rossa decollò. Oggi ad alimentare una nuova psicosi è la mozzarella alla diossina. Sarà la «terza piaga» destinata ai pizzaioli globali? Si potrebbe dire che il libero mercato si autoregola e avrebbe ragione Adam Smith, ma non è così. Sono i piccoli produttori a rimetterci, chiudono i battenti e non li riaprono. E come a vendicarsi delle accuse all'Asia sui polli malati, il primo stato a mettere l'embargo alla mozzarella campana è stata la Corea del Sud. Seul ne ha vietato il consumo ai coreani che ne vanno matti, compromettendo un commercio di circa 10 tonnellate l'anno. Ma Tokio? Ha seguito o meno i coreani, mettendo a rischio l'export di altri 329mila kg di mozzarelle, pari a un valore di 2,3 milioni di euro?
Nel pomeriggio si diffonde la notizia: il Giappone ha chiuso le frontiere già da venerdì. Partono le telefonate "diplomatiche", sono interpellati gli ambasciatori. La sinistra arcobaleno sottolinea: «Allarme eccessivo, ma bisogna partire subito con la bonifica dei territori». Il Pd di Bassolino tace. A sera il consorzio di tutela della mozzarella dop. ratifica: «In Giappone ci sono solo maggiori controlli su tutti i latticini italiani». Esulta l'assessore regionale Andrea Cozzolino: «E' una bufala». Riprende la parola quello della sanità Angelo Montemarano: «Siamo gli unici ad avere istituito un Osservatorio per la sicurezza alimentare». Ma i commercianti casertani, 1900 allevamenti e 25mila addetti, non si sentono per nulla sollevati: dopo l'effetto-rifiuti che ha tagliato le gambe ad albergatori e tour operator, potrebbero essere i prossimi. Il consumo è già calato del 35% e a rimetterci le "bufale" potrebbero essere anche la Puglia e il basso Lazio.
La Cia, la Confindustria degli agricoltori, tenta di sdrammatizzare: «Bene ai controlli, ma senza caricarli di enfasi». Troppo tardi lo scandalo ha già fatto il giro del mondo: New York Times, The indipendent, The Herald Tribune.
Ma quanto c'è di vero in questo allarme? L'inchiesta della procura di Napoli che ha fatto scattare i controlli del Noe e dei Nas ha messo sottosopra oltre 200 aziende. Di queste sono già state esaminate 80 e solo in due casi si è accertato lo sforamento minimo dei livelli di diossina: tra i 6,2 e i 6,8 picogrammi contro i 6 consentiti dalla legge. Dall'Ue non si sbilanciano: «Per ora non abbiamo prove» si è limitata a commentare la portavoce del commissario Ue all'ambiente, Stavros Dimas, ma poi Bruxelles ha chiesto i risultati delle analisi entro due giorni.
In realtà se diossina ci fosse nel latte delle bufale, questa non sarebbe stata prodotta negli ultimi mesi con l'emergenza rifiuti. In questo gli esperti concordano, la diossina si produce solo con le combustioni, ma le quantità che penetrano nel terreno, entrano in circolo nelle falde acquifere e ritornano nell'erba mangiata dalle bufale non potrebbero essere state provocate dai roghi della disperazione. Piuttosto si tratta di un territorio, quello casertano, devastato dai traffici illeciti, come possono essere i falò per estrarre il rame o per far sparire rifiuti pericolosi. E in ogni caso si tratterebbe di un inquinamento di lungo periodo e già ampiamente esportato.
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