12 December 2007
Svelato il segreto del bilinguismo
fotografato "l'interruttore" che lo attiva
di ALESSIA MANFREDI
FACILE come bere un bicchiere d'acqua. Per chi cresce imparando due lingue, passare da una all'altra senza errori è perfettamente naturale e lo si impara fin da piccoli. Ma cosa permette alle persone bilingue di gestire senza difficoltà due idiomi diversi? Il merito è di un meccanismo nel cervello che, come un interruttore, si accende mentre si passa dalla lingua madre alla seconda lingua e viceversa, e fa sì che si selezioni correttamente quella prescelta attraverso un sistema di controllo interno. Per la prima volta questo meccanismo è stato "fotografato" e la scoperta si deve a un gruppo di ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in collaborazione con il Dipartimento di Neurologia dell'Università di California e dei Geneva University Hospitals. Se da tempo si ipotizzava che esistesse un meccanismo di controllo nel cervello per bloccare una lingua e dare il via libera all'altra, impedendo interferenze, ora gli scienziati hanno identificato le aree coinvolte. "E' una rete di aree cerebrali che si attiva solo quando c'è il passaggio da una lingua all'altra" spiega il dottor Jubin Abutalebi, ricercatore del dipartimento di Neurologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, primo autore dello studio pubblicato sul Journal of Neuroscience. Quelle che entrano in gioco sono strutture cerebrali particolarmente importanti: la corteccia del cingolo - che è coinvolta nell'attenzione e nel controllo delle azioni mentali - e il nucleo caudato, una struttura sottocorticale implicata nel processo di inibizione delle azioni. "E' possibile che per queste specifiche funzioni, tali aree risultino cruciali nel meccanismo di controllo delle lingue", chiarisce lo scienziato.
Per il loro esperimento, i ricercatori del San Raffaele hanno sottoposto a risonanza magnetica funzionale alcuni soggetti di madrelingua italiana residenti da tempo a Ginevra, con padronanza di entrambe le lingue, ma esposti maggiormente al francese. E hanno usato un classico della letteratura per l'infanzia di entrambe le culture: il Piccolo Principe di Saint-Exupéry. Hanno fatto ascoltare loro passaggi del libro dall'italiano al francese e viceversa; l'attività del cervello fotografata con la risonanza ha messo in evidenza l'azione degli "interruttori", rivelando aspetti interessanti. "Pensavamo, ad esempio, che fosse più facile passare alla lingua madre e invece abbiamo visto che se si è più esposti alla seconda lingua, risulta meno difficoltoso passare a questa" spiega Abutalebi. Quanto più si è esposti a una lingua, tanto più nel cervello si attivano sistemi neurali simili a quelli che si utilizzano quando si usa la lingua madre. Per questo è così importante vivere nel paese in cui la si parla, seguire programmi televisivi o radio, parlando con soggetti nativi, in modo frequente e costante. "Solo così le due lingue si comporteranno nel nostro cervello in maniera sovrapponibile" sottolinea Daniela Perani, docente di Fisiologia Psicologica all'Università Vita-Salute San Raffaele. Già si sospettava che nella funzione di controllo interna fosse coinvolto il nucleo caudato, perché si è osservato che pazienti bilingui con lesioni a quest'area mescolavano in modo patologico le due lingue. La capacità di passare dall'una all'altra si acquisisce fin da piccoli, ma il meccanismo di controllo si perfeziona verso i tre anni, quando non si fa più alcuna confusione. E' un dono prezioso, che regala una marcia in più. "Sembra infatti che il cingolo nei bilingue si sviluppi di più rispetto ai monolingue, e alcune delle loro facoltà intellettive risultano più sviluppate" conclude Abutalebi.
(Repubblica, 11 dicembre 2007)
07 December 2007
Dal Molin: i nostri si svegliano (era ora)
Ministri a Prodi: «Dal Molin, ripensaci»
Lettera di Mussi, Ferrero, Bianchi e Pecoraro Scanio al premier: blocca l'ampliamento della base Usa a Vicenza
ROMA - La sinistra di governo non ci sta. E 4 ministri, Fabio Mussi (Sd), Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), Paolo Ferrero (Prc) e Alessandro Bianchi (Pdci) scrivono una lettera per invitare il premier a ripensarci sul via libera all'ampliamento della base militare americana «Dal Molin» di Vicenza.
LA LETTERA - «Come sai - scrivono i quattro ministri al premier - non abbiamo mai condiviso la decisione di dare il via libera all'ampliamento della base. La questione non rappresenta però solo un elemento di conflitto tra forze politiche. Il punto riguarda i rapporti tra il governo e la popolazione di Vicenza; riteniamo non sia possibile continuare come se nulla fosse, in una situazione in cui la sacrosanta richiesta dei cittadini vicentini di avere un referendum popolare sull'opportunità o meno di ampliare la base, è stata disattesa da chi aveva il potere di organizzare la consultazione». Ferrero, Mussi, Bianchi e Pecoraro Scanio chiedono quindi a Prodi «un ripensamento, anche alla luce dell'ordine del giorno che impegna il governo a organizzare entro i primi sei mesi del 2008 una Conferenza nazionale sulle Servitù militari». «In questa situazione, in cui crescono le tensioni internazionali e i venti di guerra - prosegue la lettera - aprire una interlocuzione vera con le popolazioni che si oppongono all'allargamento della base statunitense è un punto decisivo per un governo progressista e democratico». «Per questo - concludono i ministri - ti chiediamo di prendere ogni iniziativa utile per ricercare una soluzione rispettosa della dignità, della qualità della vita e dei diritti dei cittadini vicentini».
06 December 2007
Col cazzo che ti voto!!!
A stronzo!!! Col cazzo che ti voto!!!
04 December 2007
Mabei shang de fating
A great film about man's fate. Probably one of the best I've ever seen. Highly recommended.
Çò que podètz pas legir dins la premsa francesa
Res no atura la indignació
DIR PROU Centenars de milers de ciutadans surten al carrer per exigir respecte PLURALITAT Pujol, Maragall i 500 personalitats participen a la manifestació
Albert Balanzà
Milers de manifestants ahir al pas de la manifestació per Via Laietana, un dels punts més densos
CRISTINA CALDERER
Ni que es reprengui el servei de Rodalies més o menys miraculosament el mateix dia de la manifestació; ni que José Luis Rodríguez Zapatero anunciï per sorpresa la seva enèsima visita a Catalunya aixecant expectatives sobre la gestió de l'aeroport; ni que el PSC llancés divendres una campanya per lloar els guanys de Catalunya amb un govern socialista a Espanya; ni que els partits adherits a la marxa no sàpiguen sortir sense la seva pancarta, fins i tot ni que ETA, tornant a assassinar, tapi mediàticament la repercussió de la iniciativa popular. Res no atura, ara per ara, la indignació pel desgavell de les infraestructures a Catalunya.
Per moltíssimes, múltiples i diverses raons, gent de tota condició, classe, fe o arrel, del nord i del sud, catalana de sempre o catalana de quan sigui, es va llançar ahir al carrer en la segona manifestació en dos anys que aconsegueix col·lapsar Barcelona. El 18 de febrer del 2006 una marea humana va omplir la Gran Via contra les retallades a l'Estatut; l'1-D serà recordat per una altra reacció multitudinària, ara a favor del dret de decidir el model de país, a favor del traspàs de la xarxa de transports, a favor d'un nou finançament que permeti conèixer les balances fiscals. Així ho deia el manifest que Mònica Sabata i Gerard Fernández van llegir al final de la marxa.
Ball de xifres
El sempre maleït ball de xifres situava el marcador en els 700.000 assistents que deien els organitzadors i els 200.000 que deia la Guàrdia Urbana. Una xifra o l'altra, o la meitat de la més baixa en qualsevol cas, ja representa moltíssima gent en un país que només compta 100.000 persones quan omple un camp de futbol.
Que algú comenci a prendre nota de la mobilització popular que demana respostes. Aquesta és una part de la gent mobilitzada que en les últimes eleccions, després d'una reflexió molt profunda, s'ha quedat a casa. "I als polítics, advertim...", deia ahir el reggae del grup de Sants Pirat's Sound Sistema, que animava la capçalera de la manifestació, molt ben nodrida amb 500 personalitats de la societat civil: Joan Laporta, Jordi Porta, Xavier Rubert de Ventós, Alfons López Tena, Vicenç Villatoro, Vicent Sanchis, Sebastià Alzamora, Jaume Sobrequés, Oriol Junqueras, Toni Albà, Joel Joan, Núria Feliu...
El paper dels partits
Ara bé, lògicament, sense l'adhesió de la majoria de partits no hauria estat possible assolir el gruix i l'objectiu final de la convocatòria, que era molt simple: que el principi de la manifestació arribés a l'Estació de França quan la cua de la marxa encara havia de sortir de la plaça Catalunya. Precisament, els partits van ser els últims a sortir perquè la gran majoria d'assistents es va col·locar en el primer bloc, format per les personalitats i les entitats adherides a la Plataforma pel Dret de Decidir, o en el segon, on hi havia les entitats adherides amb pancarta pròpia. Així, un altre dels grans símbols de pluralitat de la manifestació es va donar amb la presència dels dos expresidents de la Generalitat Jordi Pujol i Pasqual Maragall. L'un, Pujol, dijous ja va dir que hi aniria "per dignitat nacional" i "encara que hi hagués d'anar sol"; l'altre, Maragall, malgrat l'absència del PSC, va aparèixer d'incògnit entre la multitud. Hi eren tots dos (i no eren els de Polònia).
Encara una última consideració: ahir a Barcelona no es va celebrar una manifestació intrínsecament independentista, però sí que eren gran majoria els que possiblement s'hi tornaran. Mentrestant, la desafecció, que diria el president Montilla, no s'atura.
Notícia publicada al diari AVUI, pàgina 7. Diumenge, 2 de desembre del 2007
lo zar, il poeta, e l'Occidente
Il passaggio che segue, secondo me, riassume perfettamente la situazione odierna in Russia:
Ma come mai sostiene che i paesi occidentali sono responsabili, almeno in parte, delle scelte interne del Cremlino?
La Russia non è un Paese appeso in cielo. Tutto quello che accade oggi nel mondo è intimamente connesso. Le basi militari americane spuntano come funghi nei Paesi ex satelliti dell'Urss, e perfino in quelli che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica. Il nostro giardino di casa è infestato dalle armi americane e si parla di dispiegarne sempre di più. In fin dei conti la Russia, oggi come oggi, non ha basi militari in nessun paese del mondo, ma deve fare i conti con quelle altrui piazzate dietro l'angolo.